Crema, dolce città, non è lontana da Desio. Almeno oggi. Nel 1956 lo era certamente un poco di più. Altre strade e altre vetture. Ci voleva una giornata per arrivarci, restarci quel tanto che bastava, rientrare. Occorreva prepararsi per bene. Pio, invece, ricorda che quella mattina dovette fare in fretta a raggiungere il cortile della casa parrocchiale. Non si aspettava che gli chiedessero di accompagnarli, lui, ancora giovane musicista. Ma accolse con piacere l’inatteso invito: monsignor Giovanni Bandera e il conte Mario Longoni lo volevano con loro per la prima missione a Crema, dai Tamburini, la fabbrica d’organi. Il prevosto da tempo pensava alla sostituzione dell’organo Balilla che stava in basilica, suonato dal maestro Molteni, accanto al quale cresceva il talento di Pio. Strumento limitato, quello – pensava il prevosto – per la chiesa della città dove è nato un papa, dove è stato battezzato, dove la sua casa comincia a valorizzarsi. Poi, dai, Balilla. Un nome che ricordava tempi bui e gli riportava alla mente quell’episodio che lo vide coraggioso protagonista. Lui, il prevosto, aveva dovuto uscire sul sagrato, qualche anno prima, con autorevolezza e decisione, per calmare i fascisti. Per salvare la sua gente, i ragazzi dell’azione cattolica, quelli delle Acli e delle cooperative bianche. E per salvare pure don Alessandro Luoni, che nei solai dell’oratorio custodiva le armi dei partigiani. Tempi passati. Di Balilla rimaneva l’organo dietro l’altare e, sinceramente, era ora di togliere pure quello. Desio doveva avere le cose più belle. Il prevosto Bandera era deciso. Già aveva la chiesa più imponente del territorio, adesso serviva un organo prestigioso, importante, capace di accompagnare degnamente le funzioni e regalare musica sublime. Così, aveva deciso di far allestire un nuovo organo alla ditta Tamburini. Di Crema, appunto. E lo voleva avere a Desio, funzionante, in chiesa, l’anno dopo, nel 1957, per le ricorrenze programmate per il centenario della nascita di Achille Ratti, Pio XI, il papa che regnava quando lui veniva nominato prevosto. Il prevosto della città del papa. Altro che tricorno in testa e mantellina sulle spalle. Un organo da fare invidia: questo ci voleva! Aveva costituito il comitato per le onoranze per il centenario e aveva deciso di fare il passo. Forse più lungo della gamba. Di certo coraggioso. Un organo degna. Costi quel che costi. Dovessero arrivare i contributi per i danni bellici – si ripeteva – bene (anche se di danni bellici in basilica non ce ne furono, ma insomma, qualche bugia, a fin di bene, anche i preti la possono dire e pure certificare), altrimenti va bene lo stesso. Quel mattino partirono insieme sull’Alfa nera del conte Longoni, lucida come uno specchio, dentro e fuori, fatta uscire apposta dal garage della villa di via Grandi. Il conte al volante tenuto stretto tra le mani, le dita che sbucavano dai guantini da guida, il foulard sotto il collo della camicia, il prevosto al suo fianco, elegantissimo, la fila di bottoni sull’abito nero con gli orli rossi, il collarino ecclesiastico bianco e Pio, il giovane musicista, dietro, silenzioso, riverente, orgoglioso. Furono ricevuti con tutti gli onori. Visitarono la fabbrica, discussero i progetti già sottoposti e studiati con gli esperti, trattarono il prezzo. Fecero l’affare. L’organo venne allestito e arrivò puntuale a Desio. Consolle a tre gruppi, posizionamento dietro l’altare, abbracciato dagli stalli del coro ligneo del 1743. Posizione non del tutto felice, per la verità. Il velario che il sacrestano cambiava coi momenti liturgici frenava il suono che tornava con difficoltà all’organista. Più tardi, con le modifiche consentite dal Concilio Ecumenico Vaticano II, lo strumento venne portato davanti, dov’è tuttora. La sera del 7 ottobre 1957, tra le iniziative del centenario, l’organo fece sentire la sua voce ai fedeli per la prima volta. Lo fece come meglio non avrebbe potuto. Ad accarezzare i tasti, a pigiare i pedali, ad inserire e distogliere le canne fu chiamato il grande maestro e compositore Luigi Picchi, direttore del coro di Como. Lui da subito era stato coinvolto nel progetto che seguì nei minimi particolari. Quella sera le tre consolle vennero provvisoriamente poste sull’altare, sotto il tabernacolo, per permettere alla gente presente in basilica di seguire il volo delle mani del Picchi sulle tastiere. Suonava dando le spalle ai fedeli. Indossava sandali speciali per lasciare danzare i piedi sulle aste allineate. Il giovane Pio, Pio Garoni, gli era accanto. Il ricordo è dolce in lui. Si fonde coi profumi respirati quel giorno a Crema, con le melodie da lui successivamente proposte in tanti anni di servizio in basilica, coi volti della gente, i preti, i coristi, i fedeli. I silenzi, il buio, l’incenso, la preghiera.