Sembrava cacciata chissà dove. Le distanze, da piccoli, sembrano sempre giganti. Arrivare a Santa Liberata, in estate, per una preghiera alla Madonna, davanti alla cappelletta, era una vera e propria gita. Toccava alla nonna accompagnare i piccoli, nel primo pomeriggio. La mamma aveva messo la merenda dentro i cestini dell’asilo, quelli di plastica intrecciata, traspiranti, azzurri per i maschietti, rosa per le femminucce.
Non c’erano case intorno alla cappelletta. E nemmeno strade. Solo sentieri. Non si arrivava mai. Appena lì, dopo aver puciato la mano nell’acquasantiera, troppo in alto per i bimbi, fuori il cancelletto, ecco il segno della croce. Poi la prima Ave Maria e finalmente un attimo di riposo sulla panca di pietra attaccata al muro, col fresco del boschetto accanto che cominciava ad accarezzare i visi arrossati e le lucertole che scappavano tra i sassi per non farsi catturare. Intorno, papaveri e fiordalisi.
Il cancelletto della cappella era chiuso. La testa dei bimbi quasi passava tra le sbarre, le mani aggrappate ai ferri, all’altezza delle orecchie. La curiosità di sbirciare era stimolata dai racconti della nonna. La statua della Madonna, diceva, era stata rinvenuta lì, nel campo, anni prima. Un *paisan* stava arando ed il bue non ne voleva sapere di superare quel punto. Il contadino non se ne dava ragione. Mollate le redini, aveva cercato di capire cosa bloccava la bestia. Con sua sorpresa, interrata, aveva trovato la statua di Maria. L’aveva portata in parrocchia e l’avevano messa in sacrestia, in attesa di trovarle una collocazione, il giorno dopo. Ma la mattina successiva la Madonnina non c’era più.
Rubata? No. L’avevano ritrovata là, nel campo dove il bue si era bloccato. Chi ce l’aveva riportata? La nonna sosteneva ciò che tutti credevano: la Madonna stessa aveva rimesso la statua nel campo. Fu deciso di erigere proprio lì una cappelletta a Maria. Liberata. Liberata dalla terra e da ogni altro vincolo.
A confermare la storia della nonna ci pensava Pierina, che abitava lì vicino e si prendeva cura dell’edicola sacra. Con la grossa chiave apriva il cancelletto e faceva entrare, due alla volta. A bocca spalancata i bimbi contavano i cuori allineati intorno alla vecchia, bellissima statua. Gli ex voto, spiegava Pierina. I piccoli non capivano. Erano i segni della riconoscenza di quanti sostenevano di aver ricevuto una grazia dalla Madonna di Santa Liberata. Di essere stati aiutati da lei.
Come la coppia di Monza, marito e moglie, che per anni è passata di lì tutte le settimane lasciando l’offerta inconfondibile. O la ragazza che in quel luogo ha trovato la forza per maturare il suo sì alla chiamata di Dio, per sempre.
La Santa Liberata accoglie anche oggi. Salva chi non rispetta la precedenza all’incrocio delle strade disegnate sopra i sentieri di un tempo e che sfiorano la sua cappella. Perdona chi urta le sue pareti. Ascolta la preghiera di chi si ferma davanti a lei, sorride da dentro le mura umide. Come faceva quando Pierina richiudeva il cancelletto con la grossa chiave e quei bimbi aprivano il cestino per sgranocchiare la merenda.