Fosse stato ancora in vita, Felice non sarebbe di certo mancato sul palco della Scala per la prima con La forza del destino, di Giuseppe Verdi. Lui e i suoi fratelli erano appassionati di musica lirica. Vivevano nel grande cortile di via Lampugnani, con Angiolino e Angioletta, i genitori. Trascorrevano le sere più belle ascoltando l’opera alla radio e sognando. Sapevano a memoria le romanze e le ripetevano ad ogni occasione. Milano e la Scala parevano lontane, in quegli anni. Ma Felice trovò lavoro proprio nel capoluogo. All’Atm. Tranviere. La forza del destino, a volte… Ci pensò, ci ripensò ed infine osò avvicinarsi al tempio della lirica. Dalla scala in cortile, quella per salire in camera, alla Scala che conduceva in paradiso. Cominciò con lo sbirciare dal di fuori, poi si buttò ed entrò. Cercavano comparse. Sono qui io, disse. Vieni stasera, si sentì rispondere. Lo avvolse una scossa elettrica. Si presentò alla porticina sul retro. Gli diedero il costume e lo allinearono con un sacco di altra gente. C’era l’Aida in programma. Gli provarono pure la voce: si capiva che il ragazzo era uso cantare. A Desio. Coi fratelli. Vai allora: dentro il coro. Divenne comparsa cantante. Da allora rubò sempre più tempo al tram, alle rotaie, al deposito. Lavorò in decine di opere liriche messe in scena sempre sul più prestigioso palcoscenico mondiale. Si fece fotografare accanto ai grandi artisti: tutti fermi, un sorriso, ciak e lo sbuffo di polvere usciva dalla macchina sopra il cavalletto. Ci sono ancora, quelle foto. Lo ritraggono con Caruso, con Margherita Carosio. Soprattutto con Maria Callas. Non si trovano più, invece, gli oggetti che Felice portava a casa una volta smontate le scenografie: l’elmo da guerriero, il portafrutta di metallo, il lampadario che vegneva giò i ciundul tutti colorati. Quello che appesero in casa e rimuovevano una volta l’anno, a Natale, per netàl. Non si trovano più neppure le scarpette rosse che aveva portato alla nipotina Anna in uno dei suoi settimanali rientri a Desio, alla Ca del porcu du, come la chiamava Giuseppe, il fratello, sempre pronto ad ospitare chiunque arrivava. Quelle scarpette rosse da ballerina rimasero per anni appese allo schienale del letto di Anna. Forse se le riprese lui, chissà. Perché gli ricordavano una delle ballerine. Che a Felice piacevano almeno quanto la lirica.

 

Foto d’epoca della Scala di Milano

Foto d’epoca della Scala di Milano