Tutto si svolgeva lì, correva lì, su quel tratto di strada che dall’oratorio portava (e porta) verso Santa Liberata. Nei mesi estivi, in luglio ed agosto, quel pezzo di via Pozzo Antico era l’asse del gelato.

E delle granite. C’era il bar dell’oratorio coi ghiaccioli e i mottarelli, il Kid alla panna e il limoncino, ma per i più grandi non bastavano più; loro tendevano ad altro. Fuori da quelle quattro mura. Come per i miti stranieri della canzone, i Beatles e i Rolling Stones, o per l’Inter e il Milan, anche per le granite le loro preferenze si dividevano in parti uguali. Tra la Maria Pulea e la Maria del Setos Baselos. Le due Marie delle granite, prima ancora delle tre Marie dei panettoni.

Era avanti, Desio, a quei tempi! Le granite delle due Marie erano simili, suvvia, ma parevano nettamente diverse agli uni e agli altri: i pezzi di ghiaccio dentro il boccale tipo birra rimanevano grossi di qua e di là (dalla Pulea e al Setos), dopo la tritata dentro la macchinetta bianca e rossa, con la manovella da girare sul lato e il coperchio da premere con l’altra mano. L’aggeggio era subentrato un giorno al canovaccio e al pesta bistecche e le due Marie si erano subito allineate.

Il fresco bicchierone era fornito da entrambe col lungo cucchiaio di metallo che, mosso su e giù con pazienza, aiutava i pezzi più grossi a rompersi, evitando che, ingeriti in dimensioni esagerate, facessero partire improvvise schegge di freddo che risalivano le narici fino ad arrivare dritte dentro il cervello. Le punte dell’iceberg si scioglievano ad arte ruotando il cucchiaio dentro la miscela. Il bianco del ghiaccio rimaneva in superficie, lo sciroppo scendeva giù e stagnava sul fondo. Menta, orzata e tamarindo gli sciroppi più gettonati. Loro, i grandi, a volte osavano e chiedevano il “mezz e mezz”, menta e tamarindo mischiati.

Il tamarindo ha perso la battaglia col gusto Cola, che imperversa oggi nelle versioni moderne delle granite, quelle sputate fuori dalle macchinette che ruotano in continuazione e quelle preconfezionate. Le due Marie, ai tempi, ne erano sempre ben rifornite, sia la Pulea, nel suo locale circondato dal giardino col pergolato e il campo delle bocce, sia l’altra, al Setos Baselos, traduzione dialettale ed ispanicanica dell’elemento caratteristico del bar, i sette gradini per entrarci. I tappi delle bottiglie di sciroppo non avevano tempo d’incrostarsi di zucchero e non chiudere più, sia dall’una, sia dall’altra Maria. I contenitori si vuotavano subito. Proprio come le vesciche di chi gustava quelle granite speciali, e le liberava là, contro le piante o all’angolo nascosto di quel pezzo magico di via Pozzo Antico.

 

L'ingresso ancora oggi visibile dell'osteria Pulea, in via Pozzo Antico

L’ingresso ancora oggi visibile dell’osteria Pulea,
in via Pozzo Antico

Il bar grande dell'oratorio col barista volontario Emanuele Arancio in giacca bianca

Il bar grande dell’oratorio col
barista volontario Emanuele Arancio in giacca bianca