In basilica e nella saletta per le prove, al nuovo Centro parrocchiale, in quegli anni dirigeva il coro il maestro Salvi. Salvi e basta: nessuno conosceva il suo nome di battesimo. Chiamato da monsignor Luigi Castelli, veniva da Saronno con la cartella piena di spartiti, i capelli impomatati, pieni di brillantina, pettinati all’indietro come quelli di don Jaime de Mora y Aragon, detto Fabiolo, il fratello della regina del Belgio che aveva pure cantato con Edoardo Vianello: “Non è un capello, ma un crine di cavallo uscito dal paltò”. Elegante come Fabiolo, il fazzolettino nel taschino della giacca, le scarpe a punta, lucide, con le stringhe in tinta, Salvi era solo un poco più rotondo del nobile cantante e pianista spagnolo. Nella corale che aveva trovato a Desio c’era di tutto e lui accettava tutti. Donne e uomini, soprani e contralti, tenori, bassi e baritoni, giovani ed anziani, belle voci e… intonati a spanne. Il Lunghin (Longhi picinin) era tra gli anziani. E tra i bassi. Ci stava a pennello, visto che in altezza misurava si e no un metro e cinquanta. Il cognome (Longhi, appunto) era stato provvidenzialmente rivisto e corretto nella versione dialettale. Aveva le orecchie a sventola e leggermente allungate verso l’alto (loro). Nel canto l’orecchio serve. Soprattutto a chi non sa leggere la musica. E a quei tempi la musica la sapevano leggere in pochi. Non certo il Lunghin e nemmeno il suo amico Dino. Durante le prove, i due si piazzavano in fondo alla sala, all’angolo con la parete alla quale potevano provvidenzialmente appoggiarsi per ogni necessità. Posto fisso, di fianco ad Osvaldo, anche lui basso come intonatura, ma nella realtà alto di statura. Altissimo. Le prove erano pesanti, ripetitive, monotone e stancavano parecchio. A volte Lunghin e Dino si addormentavano con la bocca aperta, dalla quale uscivano suoni che, ovviamente, non andavano d’accordo col motivo in prova. Ci pensava la bacchetta del maestro Salvi a risvegliarli con tocchi sul leggio. Lo faceva prima che fosse troppo tardi. Sì, insomma, prima che intervenisse Ambrogio con uno dei suoi scherzi. Sarebbe stata dura, poi, riportare la calma nella sala, spegnere le risate, ricreare l’atmosfera giusta, ritrovare la nota. Non sono mai arrivati su palchi prestigiosi. Né il maestro Salvi, né Lunghin, Dino e Osvaldo. Al massimo Dino arrivava in Valbrona, una volta l’anno, al tempo delle castagne. Le portava orgoglioso a Desio, le arrostiva nella sua casa in cortile e ne condivideva un cartoccio col Lunghin. Le mangiavano assieme, bevendoci sopra un bicchiere di rosso. Non il giorno delle prove, però.

 

Il coro e il Maestro Molteni all'organo (anni '50)

Il coro e il Maestro Molteni all’organo (anni ’50)

Enrico Balestreri dirige le prove del coro (fine anni '70)

Enrico Balestreri dirige le prove del coro (fine anni ’70)