Sull’altare, in basilica, è esposto l’ombrellone, il sinnicchio. Tranquilli – si usa dire oggi -, nessun colpo di sole. E’ solo tempo della processione del Corpus Domini. Il sinnicchio o ombrellone è una delle insegne della elevazione della chiesa desiana a basilica romana minore. Accanto c’è il tintinnabolo, il campanello. Tutte e due sono piuttosto pesanti. L’ombrello gigante è confezionato con un telo a spicchi rossi e gialli, con le immagini sacre sui ‘franz’, sulle frange. L’altro è un grosso bastone con la sommità intarsiata che si apre e accoglie la campanella che avvisa l’imminente arrivo del Santissimo. Molti anni fa (i ricordi sono di monsignor Carlo Sironi, indimenticato sacerdote desiano morto nel 2020) a portarli in processione era l’Orsenigo, un uomo forte che non si fermava davanti a niente, tanto era immerso nel ruolo di ambasciatore del Corpo di Gesù, nell’ostensorio tra le mani dal prevosto, sotto il baldacchino sorretto dai confratelli. Non si fermò neppure quella volta che la processione del pomeriggio venne sorpresa da un forte temporale. Il cielo divenne nero all’improvviso e tuoni e fulmini si scatenarono in un attimo. L’immensa fila di fedeli era nei vialetti tra i padiglioni del vecchio ospedale, subito dopo ‘ul punt da la bruna’, la salita di via San Pietro presso la camera mortuaria. Mancava poco alla basilica, ma la pioggia non aspettò. Ci fu il fuggi fuggi in cerca di riparo sotto le gronde. La ritirata di tutti. Tranne dei confratelli col baldacchino, del prevosto con l’ostensorio e dell’Orsenigo. Se i primi avevano almeno un minimo riparo (il baldacchino, appunto), lui no. Ma non fece una piega. Proseguì il cammino suonando la campanella. Al ‘nava a moj, commentavano poi i fedeli. Era a mollo. Bagnato da capo a piedi. Ma l’è rivà in gesa granda, è arrivato fino alla basilica. Le processioni per il Corpus Domini, in alcuni anni, sono state anche quattro. Due il giorno della festa: una al mattino, dopo la messa pontificale e una il pomeriggio, dopo i vespri cantati delle 15. Cantava il Pioltelli , dietro l’altare, consultando il libro con le parole scritte in grande, appoggiato al leggio. Poi tutti fuori, col percorso che cambiava di volta in volta. Col sole e il caldo, si poteva percorrere l’intero itinerario completamente all’ombra. La creavano le sandaline tirate da un lato all’altro delle vie. Era una gara ad addobbare case e portoni con altarini, fiori, immagini sacre, statuette. Nel corteo si distinguevano i confratelli con divisa e mazzetta rossi, col cordone alla vita e il medaglione col Sacro Cuore sul petto. E c’erano le consorelle, le figlie di Maria. Rolle. Nubili. Col velo bianco in testa e i vestiti neri lunghi fino alle caviglie. Il loro capo indiscusso era l’Erminia ‘Viunina’, la zia di don Luigi Giussani. Abitava alla foppa, nel cortile del Secchi prestinèe. Le rolle comandavano. Poi nel corteo venivano i chierichetti, i fanciulli cattolici, gli aspiranti, le suore, le tre bande cittadine e la gente, il popolo. Le processioni non si esaurivano il giorno della festa. Andavano avanti. Una terza era programmata la domenica successiva. Una quarta il giovedì della chiusura dell’ottava. Nessuno mancava. Di sicuro, davanti al Santissimo, l’Orsenigo c’era. E quando non ce l’ha fatta più, ma proprio più, ha lasciato l’incarico al caro e indimenticato Angelo Colzani.
Processione eucaristica conclusiva del 1937 in occasione dei festeggiamenti per l’inaugurazione della facciata marmorea della basilica, si vedono le due insegne basilicali davanti al piccolo clero e ai canonici.