Il mese di maggio dedicato a Maria comincia, guarda un po’, nel ricordo di suo marito Giuseppe, artigiano, falegname, legnamée. Legnamée di nome Giuseppe ce ne sono sempre stati a Desio, almeno finché le botteghe hanno aperto le porte sulle strade, nei cortili, in centro e in periferia, alle pareti il quadro impolverato che ritraeva il patrono con la raspa in mano, la resega poggiata al bancone, Gesù e a Maria accanto a lui. Due di loro hanno il destino legato ai due santuari cittadini. La moglie di Giuseppe Carpanelli si chiamava Giuseppina , non Maria. Alto, magrolino, le gote scavate, i capelli mossi, i baffi appena pronunciati, aveva messo su bottega all’estrema periferia nord di Desio. In mezzo ai campi, quasi davanti alla cascina Bunom. Talmente fuori che pareva di non essere più nemmeno a Desio, là. Tanto che, quando Angelo fu costretto a nascondersi, nel ’44, a vent’anni, perché renitente alla leva, la zia Maria lo nascose lassù, in solaio. Un Angelo nascosto da Maria. Che era la moglie di Attilio, però. Attilio Manzotti, fine falegname, caposquadra e uomo di fiducia del Carpanelli. La bottega di Giuseppe si è presto allargata, il suo modo di lavorare incontrava sempre più il favore della gente che arrivava da lui da tutta la Brianza. Un giorno, incredibile ma vero, uscendo in auto dal cancello della fabbrica, con Giuseppina seduta accanto, non si accorse dell’arrivo del tram. Il botto fu tremendo. La macchina era un cartoccio. I soccorritori si misero le mani nei capelli: qui di sicuro son morti. Invece no. Se la cavarono. Fu un miracolo. Per sdebitarsi col cielo fecero costruire una chiesa lì davanti, sul loro terreno. D’accordo con monsignor Bandera, la dedicarono alla Madonna Pellegrina. L’altro Giuseppe legnamée era conosciuto come Pepino (con una pi sola, non come De Filippo, che di pi ne aveva due). Pepino di Liz (Mariani) era sposato con Regina. Di Lissone. Stavano nel cortile di via Lampugnani sotto l’ombra del campanile del santuario del Crocifisso. L’uscio di fianco al suo era quello del fratello Pedar, Pietro. Proprio come l’apostolo. La Regina di Lissone non era onorata nelle litanie mariane, ma era benvoluta da tutti. Avevano il resegausch, la segatura. Lo mettevano a disposizione dei vicini, per scaldare quelle case povere in tempo d’inverno. Erano ingegnosi: posizionavano una bottiglia nel bel mezzo del mucchietto di resegausch, glielo pressavano per bene attorno, poi toglievano la bottiglia e nella bocca del vulcano che avevano formato inserivano la carta ed accendevano il fuoco. La segatura induriva e formava i pellet di allora, da infilare nelle stufe economiche. Regina non dette figli a Pepino. Lui fu contento come una pasqua quando al nipote misero il suo stesso nome: un altro Pepino di Liz. A lui e al fratello Felice lo zio insegnò l’arte del costruire mobili. Restò in bottega anche quando fu colpito dalla malattia e dovettero amputargli le gambe. Alla morte della Regina, lasciarono il cortile e si portarono in via Diaz, in un ampio capannone nel quale I due nipoti, insieme alla sorella Carla, misero a frutto gli insegnamenti del Pepino, artigiano falegname.